Intervista al coach.

Quattro chiacchiere in amicizia.

Negli ultimi trent’anni la mentalità sportiva delle persone è cambiata. C’è stata una forte accelerazione in campo medico, formativo, tecnologico e, soprattutto, nella consapevolezza dei benefici che una corretta attività fisica garantisce. Qual è il suo punto di vista?

Ha detto bene: la gente è più consapevole, è disposta a investire sul proprio benessere a favore della salute, senza trascurare il beneficio collaterale legato alla pura estetica.

Pochi decenni fa la palestra era il tempio del maschio; spesso arrangiata con pochi attrezzi in un garage o in uno scantinato, era caratterizzata da ferro, polvere e odore di sudore. Gli obiettivi comuni erano quelli di dimagrire o “pomparsi” per diventare grossi.

Caricare il bilancere e spingere, questa era la regola più rispettata, sintetizzata nella frase “no pain no gain”.

L’anatomia, la fisiologia del movimento, le tecniche d’intensità, gli integratori, l’alimentazione, erano tutte variabili quasi sconosciute che si cercavano di apprendere leggendo le poche riviste disponibili a quei tempi.


Raccontaci la tua esperienza nella prima palestra a cui ti sei iscritto?

C’erano le macchine! Quella era la prima grande differenza,  oltre alla doccia e allo spogliatoio, rispetto al garage cui ero abituato. 

Dal punto di vista pratico ricordo un po’ di delusione: per un mese mi hanno fatto fare solo bike e addominali, qualche piegamento sulle braccia e poco altro. 

La paura che mi facessi male influenzava la didattica.

Se penso a tutta l’aerobica che mi hanno fatto fare mi viene ancora da ridere. Solo chi è vero amante della ghisa può capire la sofferenza portata dalla sostituzione dei pesi, come elemento principale, con la corsa come elemento quasi unico.

 

E dopo quel primo mese, coach, come sono progrediti gli allenamenti?

Esistevano le schede, come oggi, e solitamente variavano di mese in mese, ma si trattava di programmi semplici, privi di anamnesi soggettiva, di definizione e monitoraggio degli obiettivi. Si utilizzavano i classici 3×8/3×12,  rare volte le tecniche piramidali 10/8/6/4, e così via. Squat e stacchi erano considerati pericolosi per la schiena, e quindi poco utilizzati.

 

Alimentazione e integrazione?

Anche qui facciamo un salto nella preistoria: se volevi mettere su muscoli aumentavi le kcal; applicavi, cioè, il “mangia che cresci”; se invece dovevi dimagrire eliminavi pasta e pane.

Non c’erano siti internet e gli integratori, limitati a barrette, proteine, creatina e bcaa, si compravano nei negozi; poi, come succede anche oggi, si sentiva parlare di doping…

Mancava completamente il concetto di benessere fisico e psicologico, dell’importanza dei macro e dei micronutrienti, dell’equilibrio nel sistema immunitario, della postura e della ciclizzazione degli allenamenti.

Semplicemente non si sapeva quello che si sa oggi.

Nella pratica, che evoluzione c’è stata?

Sono avvenuti cambiamenti sotto tutti i punti di vista ma, per portare il discorso sulla parte che più mi riguarda, penso di poter dire che la figura del personal trainer è tra quelle che ha giovato di una crescita maggiore.

Chi si approcciava all’allenamento con i pesi, poteva contare sui consigli e le schede del proprietario della palestra. In genere si trattava di un appassionato con una discreta esperienza pratica, ma niente di più. Non esisteva una formazione vera e propria, dei protocolli da seguire, evidenze scientifiche importanti e alla portata degli appassionati.

A dirla francamente, si dava soprattutto credito alle persone con qualche chilo di muscolo in più, senza pensare se quei fisici fossero il risultato di una genetica generosa, di metodi azzeccati o di sostanze poco ortodosse.

Per chi non amava la palestra, l’alternativa consisteva nel copiare i movimenti dell’istruttore nei pochi corsi registrati su cassette da guardare in tv.

 

L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando ci costringe a cambiare le nostre abitudini e, con la chiusura delle palestre, pensi che esistano alternative per chi vuole continuare ad allenarsi?

“Fare le vele a seconda del vento”!

Purtroppo le cose non vanno quasi mai esattamente come le avevamo programmate… e allora occorre adattarsi.

Se usciamo dall’ambiente delle palestre, troviamo un’infinità di situazioni legate, per lo più, alla quantità e qualità degli attrezzi disponibili. Ci si può allenare a corpo libero, con un barra per le trazioni, con uno zaino pesante e qualche bottiglia d’acqua; si può costruire una corda da trx, o investire qualche soldo in elastici e manubri, fino ad arrivare a panca e bilancere.

Gli strumenti per allenarsi si trovano sempre, il difficile è restare motivati e raggiungere dei risultati. È proprio su questi due punti che diventa fondamentale la figura del personl trainer che, con un programma personalizzato e ben strutturato, permetterà di sfruttare al massimo l’attrezzatura disponibile.

Non dimentichiamoci che, senza la possibilità di utilizzare dei carichi progressivi importanti, occorre lavorare molto di fino per arrivare al cedimento muscolare restando nel giusto range di volume e intensità.

È il caso di dire che persone professionalmente preparate servono maggiormente dove le condizioni sono più difficili.

 

Un’ultima domanda, fare il personal trainer oggi è molto di moda, pensi che sia un lavoro alla portata di tutti?

Una cosa di cui sono certo è che oggigiorno a nessuno è più permesso, in campo lavorativo, di improvvisare. La concorrenza è tanta, la gente confronta e pretende ma, innanzitutto, il personal trainer influisce pesantemente sulla salute fisica dei suoi clienti. Questo è il motivo principale per cui questa figura deve essere assolutamente professionale e competente.

Continuando nella mia analisi, non posso fare a meno di evidenziare anche il fatto che è difficile trasmettere agli altri cose che non si sono prima provate sulla propria pelle. Io, ad esempio, ho preparato nuotatori, pallanuotisti, maratoneti, lottatori, o semplicemente persone che volevano tonificare il proprio corpo, oppure perdere 25 kg per evitare un’operazione chirurgica. Come avrei potuto immedesimarmi in loro se non avessi provato anch’io l’emozione di una gara, la gioia di una vittoria o il sapore amaro di una sconfitta? Come avrei potuto toccare i punti giusti per stimolare l’entusiasmo e la tenacia se non li avessi mai provati?

Essere stati atleti è imprescindibile.

“Sapere” e “saper fare” sono due mondi che appartengono a galassie differenti.

Ultima cosa, ma non per importanza, per fare il personal trainer devi essere innamorato della professione. Devi provare piacere e soddisfazione nei risultati che riesci a far raggiungere dai tuoi clienti.

A presto coach.